Difficile fare una descrizione che renda giustizia al Grand Hotel Tiziano, ma ci proverò. Già dallo zerbino con la scritta “Grand Hotel Tiziano” mezza cancellata si percepisce che di “Grand” è rimasto proprio poco. Un altro indizio si rileva prendendo l’ascensore, che ha la mia età, classe 1987, ma io francamente gli anni me li porto meglio. L’intonaco scrostato dei corridoi è solo parte di un glorioso crescendo di disagio che trova il suo apice nella camera da letto. Partiamo con una pavimentazione ricoperta di moquette, che attraverso le sue macchie racconta di aver sicuramente avuto anni migliori e, data la scarsa pulizia generale, mi sentirei male ad esaminarla con una luce ad ultravioletti. Spero che durante il soggiorno non abbiate mangiato pesante, perché il bagno cieco non ha un aeratore, oltre ad essere di un’allegra tinta grigio scuro quasi nera, forse per non mostrare le macchie. Il mattino ha l’oro in bocca, si sa, e dopo aver dormito su un letto morbido quanto un asse di legno, vi garantisco che potrete svegliarvi senza l’ausilio di sveglie, perché l’unica tenda che copre la finestra (ovviamente opaca dallo sporco) lascia entrare il sole dalle 6 del mattino. La vista dalla finestra opaca poi è unica nel suo genere, dalla nostra camera si poteva comodamente ammirare una sorta di terrazza dell’albergo adibita a discarica abusiva. E se tutto questo comfort non vi basta sappiate che l’aria condizionata non funziona: due stanze su due prenotate l’avevano fuori uso, coincidenze? Io non credo. Ma in fondo ci si può rinfrescare con un po’ di acqua del minibar. Ah no. È spento anche quello. E infine un ringraziamento speciale per la colazione, guarnita di brioche che vincono il Guinness dei Primati per avere un peso specifico superiore a quello del piombo, che la considererei il bon bon finale.
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